ARES |
Ho già accennato alla storia narrata, sicuramente molto interessante per
chi come me ha amato l’Iliade, e completa ciò che manca nei poemi omerici. L’Odissea
aggiunge notizie sui fatti accaduti a Troia, ma non li presenta in modo
completo o con ricchezza di particolari. A questa lacuna provvede il seguito
dell’Iliade che narra con dovizia di sfumature come si arriva alla distruzione della
città e alla morte di tanti altri eroi.
Il giudizio che posso dare è sicuramente positivo: il
poema si legge con piacere e interesse con episodi molto belli. Lo stile che l’autore
prende a modello è certamente quello omerico e anche in questo caso si ha l’intreccio
di azioni tra uomini e Dei. Naturalmente non è Omero ma non si capisce quali siano
stati i motivi di tanta dimenticanza per cui penso che indubbiamente andrebbe
recuperato e portato all’attenzione dei giovani.
Il poema inizia proprio da dove
finisce l'Iliade: sono state fatte tutte le incombenze funebri per onorare
Ettore e i troiani sono addolorati per la sua morte e preoccupati per il
destino della città dopo la scomparsa del loro più grande guerriero.
Leggiamo quindi l’inizio nella
traduzione di Nicoletta Canzio così come è riportato nel “Il seguito dell’Iliade”
edito da Bompiani nella collana Il
pensiero occidentale.
Dopo
che Ettore simile a un dio fu abbattuto dal Pelide,
e la
pira l’ebbe consunto e la terra ne racchiuse le ossa,
i
Troiani pur resistevano in su la rocca di Priamo
temendo
in cuor loro l’impeto dell’Eacide animo coraggioso;
come
quando nei boschi i buoi di un fiero leone
temono
l’incontro, e fuggono in preda al terrore
rintanandosi
a torme nel cuore della selva,
così
essi nella rocca si ritrassero atterriti dall’eroe possente
rammentando
di quanti in precedenza avesse reciso il capo,
infuriando
lungo le rive dell’Ideo Scamandro;
e
quanti in fuga avesse trafitto sotto il grande muro;
e
come avesse abbattuto Ettore e intorno alla città lo avesse trascinato;
e
come avesse dilaniato altri ancora nella distesa del mare mai quieto,
quando
per la prima volta seminò la morte tra i Troiani.
Così,
ricordando quei lutti, resistevano in su la rocca;
e
intorno a loro aleggiava l’affanno penoso
come se già Troia ardesse
avvolta nel fuoco funesto.continua...
Dopo tanto tempo che non lo faccio, è proprio ora di tornare a scrivere le
mie note di epica. Stavo discutendo del “Seguito dell’Iliade”. Come si vede fin
dai primi versi Quintus Smyrnaeus non cela quale sia il suo intendimento nello
scrivere il poema e non solo riprende il racconto nel punto esatto in cui
terminava l’Iliade, facendoci così intendere che ci condurrà con la sua storia
fino alla fine della guerra e alla distruzione di Troia, ma cerca
immediatamente di immedesimarsi nello stile Omerico in modo da creare un vero e
proprio raccordo tra Iliade e Odissea.
Omero, nei suoi poemi, fa largo uso di similitudini per far sì che gli
eventi raccontati possano essere immaginati visivamente con maggiore chiarezza
ed ecco che anche lo Smirneus ci presenta i troiani che fuggono impauriti nella
cinta delle mura della città così come i buoi fuggono nella selva di fronte ad
un feroce leone. Di simili esempi ne potremo trovare, leggendo il poema, un
gran numero, forse anche esagerato. Spesso le immagini presentate sono molto
belle e non ci fanno rimpiangere quelle omeriche ma ciò non accade sempre.
Forse il loro uso un po’ smodato fa sì che non sempre siano calzanti e
soprattutto diventano ripetitive.
Ma nel nostro caso chi è il leone? Naturalmente è Achille: ormai dopo aver
ricominciato a combattere è divenuto incontenibile e infuria sotto le mura di
Troia facendo strage dei più valenti eroi rimasti dopo la morte di Ettore.
Achille non è sazio di sangue, non gli è bastato vendicare il suo caro amico
Patroclo e sapendo che la sua vita si appresta alla fine combatte con tutte le
sue forze per ottenere onori e la fama di migliore tra i combattenti Achei. A
tal proposito tutti i primi libri della “Posthomerica”, per essere precisi i
primi tre, vertono sulle imprese dell’Eacide che riesce a sconfiggere uno dopo
l’altro i grandi eroi giunti in soccorso dei troiani sotto assedio e prossimi
alla sconfitta definitiva. Nel primo libro è descritto l’arrivo della
coraggiosa e bellissima nonché abilissima guerriera regina delle amazzoni Pentesilea. Ella è figlia di Ares e
pertanto ama combattere e in effetti sembra risollevare le sorti dei troiani
fino all’intervento di Achille che naturalmente la sconfigge dopo dura
battaglia.
Achille uccide Pentesilea |
Memnone. B. Picart (1673-1733) |
Nel
secondo libro è Memnone signore degli Etiopi che giunge in soccorso di Troia ma
anche lui, dopo atti eroici, viene sconfitto dal prode Pelide. Ma gli Dei, In
Quintus, non partecipano? Assolutamente sì. Fedele al modello omerico lo
smirneo per la morte di Achille fa intervenire Apollo. Secondo il mio modo di vedere questo è un
passo molto bello che riporto nella bella traduzione di Cristiana Bernaschi,
tratta sempre dal testo di Bompiani (Libro III).
[…]
un
varco per la città di Priamo e avrebbe espugnato la ricca città,
se
con lui Febo non si fosse adirato nel cuore implacabile
nel
vedere innumerevoli stirpi di eroi uccisi in battaglia.
E
subito simile a una fiera, scese giù dall’Olimpo
armato
di faretra e di frecce fatali.
Si
fermò dinanzi all’Eacide. Intorno a lui
molto
risuonavano la faretra e l’arco; e dagli occhi
un
fuoco incessabile brillava e tremava sotto i piedi la terra.
Terribilmente il possente dio gridò per allontanare Achille
dalla battaglia - temendo l'eroe la voce prodigiosa del dio -,
e salvare dalla morte I Troiani.
«Arretra, o Pelide, lungi dai Troiani, non ti conviene,
non più, scagliare le funeste Chere contro i nemici,
che qualche dio dall'Olimpo non venga ad abbatterti.»
dalla battaglia - temendo l'eroe la voce prodigiosa del dio -,
e salvare dalla morte I Troiani.
«Arretra, o Pelide, lungi dai Troiani, non ti conviene,
non più, scagliare le funeste Chere contro i nemici,
che qualche dio dall'Olimpo non venga ad abbatterti.»
Così
disse, ma quello non trepidò dinanzi all’immortale voce del dio.
Di
già le terribili Chere si aggiravano volando intorno a lui.”
[…]
Ma Febo sdegnato nell'animo,
pronunciò siffatte parole tra sé e sé.
«Ahimé, quanto infuria costui nel cuore, ma né,
lo stesso Cronide né nessun altro sopporterà
costui che tanto infuria e desidera affrontare gli dei.»
Ma Febo sdegnato nell'animo,
pronunciò siffatte parole tra sé e sé.
«Ahimé, quanto infuria costui nel cuore, ma né,
lo stesso Cronide né nessun altro sopporterà
costui che tanto infuria e desidera affrontare gli dei.»
Così
disse e scomparve tra le nubi.
Poi,
avvolto nella nebbia, scagliò un dardo
E lo
colpì al tallone. Subito l’angoscia penetrò nel suo cuore
Ed
egli cadde come la torre
che la forza sotteranea di Tifone col suo vortice abbatte al suolo
quando profondamente la terra trema.
Così cadde a terra il corpo dell'Eacide.
che la forza sotteranea di Tifone col suo vortice abbatte al suolo
quando profondamente la terra trema.
Così cadde a terra il corpo dell'Eacide.
[…]
Apollo scaglia il dardo |
Come si vede lo Smirneo, contrariamente ad altre versioni, propende per
l’ipotesi che solo un dio poteva scagliare il dardo per l’uccisione di Achille.
Paride ha solo una piccola parte nell’uccisione ma si gloria di essere stato
lui. Achille, però, prima di morire riesce ancora a uccidere alcuni guerrieri
troiani e anche ormai nella polvere senza vita incute ancora terrore.
Sarà
Aiace che provvederà a portarne il cadavere fuori della mischia fino
all’accampamento acheo.
Aiace porta il cadavere di Achille |
Nell’Olimpo gli Dei a convegno si dividono come loro solito: chi ne gioisce
e chi si rammarica, le dispute sono all’ordine del giorno. La divina madre,
Teti, si dispera anche sapendo che questa sarebbe stata la sorte del figlio.
Vengono organizzati dei giochi per il possesso delle armi appartenute ad
Achille. Questa parte è particolarmente significativa: viene descritta con
minuzia di particolari quali fossero e in cosa consistessero le gare
organizzate in onore dell’eroe defunto, che poi ricordano con precisione i
giochi olimpici com’erano organizzati nell’antichità.
A fine gara, vista la parità ottenuta tra Aiace e Odisseo, si lascia che
siano dei prigionieri troiani a decidere chi dei due dovesse avere in premio le
armi. Per scopi piuttosto personali da parte dei giudici, il vincitore sarà Odisseo e ciò causerà la
morte di Aiace. Questi, infatti, addolorato e deluso si ucciderà trafiggendosi
con la propria lancia.
Il suicidio di Aiace |
Neottolemo. Loggia dei Lanzi. Firenze |
Gli Achei rimangono così senza grandi combattenti e per ovviare a ciò viene
chiamato Neottolemo, figlio di Achille. Questo disperato e furioso per la morte
del padre non ascolta i gemiti della genitrice e si precipita anche lui in
questa guerra senz[…]a fine. Sotto le mura di Troia, novello Achille,
Neottolemo fa strage di troiani ed ha i suoi momenti di gloria.
Tutti questi episodi, proprio come in Omero, occupano la parte centrale del
poema, ma poi le cose precipitano: l’inganno del cavallo, l’ingresso degli
achei nella città, l’uccisione di Paride, di Priamo e finanche di Astianatte,
che viene gettato da una torre, portano rapidamente alla devastazione e
all’incendio di Troia.
Leggiamo ora in successione brani estrapolati dai libri in cui sono narrati
gli episodi citati.
Morte di Achille
(libro III, trad. Cristiana Bernaschi)
[…]
“So
che nessuno degli eroi mortali, venendomi innanzi,
potrà
superarmi con la lancia,
seppure
abbia in petto un cuore intrepido,
Sempre
di nascosto i vili tendono insidie ai più gloriosi.
Dunque
venga innanzi, ancorchè si glori di essere un dio
Adirato
con i Danai, giacché il cuore mi dice
che è
Apollo costui dalla funesta oscurità avvolto.
Così
infatti mia madre un tempo predisse:
che
perito sarei sotto i suoi dardi
dinanzi
alle porte Scee. Il suo parlare non fu vano”.
Così
parlò e con le implacabili mani il funesto dardo
Estrasse
dall’incurabile ferita donde il sangue
Stillò,
mentre quello era sfinito e il fato ne domava l’animo.
Con
ira gettò il dardo che, prontamente giungendo,
le
Aure portarono via nell’aere e lo diedero ad Apollo,
allorché
tornava nella divina piana di Zeus. Non era lecito
che
un dardo immortale scagliato da un dio venisse perduto.
Dopo
averlo ripreso, il dio tornò nel vasto Olimpo,
al
concilio degli altri dei immortali, dove
insieme
si adunavano intenti a rimirare la battaglia dei mortali.”
[…]
Continuando
a leggere questo episodio potremmo assistere a una ramanzina veemente della
terribile Giunone nei confronti di Apollo per il misfatto compiuto; questi, ben
conoscendo le ire della nobile moglie del capo supremo degli dei, suo padre, ne
ha sacro timore e non osa rispondere e rimane in silenzio con lo sguardo basso
di fronte al concilio di tutti gli dei a subire, vergognoso come uno
scolaretto, i rimbrotti della grande dea. Una scena questa molto bella e molto
umana.
Il Pelìde
è ormai ferito in modo incurabile ma non è ancora morto: con le poche forze che
gli rimangono riesce ancora a uccidere un certo numero di nemici ma poi anche
lui, il più grande degli eroi achei, deve piegarsi al fato.
[…]
“Ma
quando si freddarono le sue membra e se ne andò il soffio vitale,
si
fermò e si appoggiò alla frassinea lancia e i nemici fuggivano via,
tutti
in massa, poiché lo temevano”
[…]
………………………....... Ma egli, per volere del fato,
gravato
nell’animo coraggioso e nelle possenti membra,
cadde
a terra tra i cadaveri simile ad un alto monte.
La
terra risuonò e fortemente risuonarono le armi,
dopo
che il Pelide era caduto a terra. Ma ancora i Troiani nell’animo
provavano
immenso timore, volgendo lo sguardo al nemico,
come
quando la fulva fiera dai giovani abbattuta
le
greggi temono scorgendola presso l’ovile,
benché
colpita, né osano andargli accanto,
ma,
come se fosse viva, ne paventano il cadavere.
In
tal guisa i Troiani temevano Achille benché fosse morto.”
[…]
La gara di corsa (Libro IV, trad. di Enrico Cerroni)
[…]
................... Teti poi nel mezzo dell'arena
pose come premio della corsa dieci vacche, che tutte
avevano bei vitellini che ne cercavano le mammelle,
queste una volta la forza dell'invincibile Achille
aveva portato dall'Ida, confidando nella sua grande asta.
Per esse si alzarano in due, molto bramosi di vittoria;
Teucro Telamonio per primo e Aiace,
Aiace che brillava tra i Locresi lanciatori di dardi.
Attorno alle pudenda legaron subito con le mani
i mantelli, tutto di sotto, come è giusto, coprirono
vergognandosi di fronte alla sposa del valoroso Pelide
e alle altre marine Nereidi, quante con lei
erano giunte a guardare le forti gare degli Argivi.
Per essi indicava il termine della corsa velocissima
l'Atride che tra tutti gli Argivi regnava.
Li spronava Eris incontaminata; essi dal punto d'avvio
subito scattarono, simili a falchi;
di loro incerta era la corsa; da ciascun lato
gli Argivi guardando gridavano per l'uno o per l'altro.
Ma allor quando stavano per arrivare bramosi al traguardo,
allora a Teucro la forza e le membra bloccarono
gli immortali; un dio o il fato lo gettarono
su un ramo contrario di mirice ben radicato.
Lì impigliato a terra cadde, dolorosamente
la punta si contorse del piede sinistro, si alzarono
gonfie da ogni lato le vene. Levarono grida
gli Argivi presenti alla gara. Piombò in avanti Aiace
contento; accorsero gli uomini, che lo seguivano,
i Locresi, subito la gioia entrò nel cuore di tutti;
portarono le vacche alle navi, al pascolo.
[…]
Prima della gara di corsa si era disputata una gara di discorsi e canti; anche tra i duri Achei dei tempi più remoti, come quelli narrati in questi episodi, tali capacità erano tenute in gran conto, forse più di quelle di carattere atletico nelle quali si eccelleva soprattutto con la forza fisica. Seguono poi in ordine giochi di lotta, pugilato, tiro con l'arco, lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, pancrazio, corsa dei carri, corsa dei cavalli.
La gara di corsa (Libro IV, trad. di Enrico Cerroni)
[…]
................... Teti poi nel mezzo dell'arena
pose come premio della corsa dieci vacche, che tutte
avevano bei vitellini che ne cercavano le mammelle,
queste una volta la forza dell'invincibile Achille
aveva portato dall'Ida, confidando nella sua grande asta.
Per esse si alzarano in due, molto bramosi di vittoria;
Teucro Telamonio per primo e Aiace,
Aiace che brillava tra i Locresi lanciatori di dardi.
Attorno alle pudenda legaron subito con le mani
i mantelli, tutto di sotto, come è giusto, coprirono
vergognandosi di fronte alla sposa del valoroso Pelide
e alle altre marine Nereidi, quante con lei
erano giunte a guardare le forti gare degli Argivi.
Per essi indicava il termine della corsa velocissima
l'Atride che tra tutti gli Argivi regnava.
Li spronava Eris incontaminata; essi dal punto d'avvio
subito scattarono, simili a falchi;
di loro incerta era la corsa; da ciascun lato
gli Argivi guardando gridavano per l'uno o per l'altro.
Ma allor quando stavano per arrivare bramosi al traguardo,
allora a Teucro la forza e le membra bloccarono
gli immortali; un dio o il fato lo gettarono
su un ramo contrario di mirice ben radicato.
Lì impigliato a terra cadde, dolorosamente
la punta si contorse del piede sinistro, si alzarono
gonfie da ogni lato le vene. Levarono grida
gli Argivi presenti alla gara. Piombò in avanti Aiace
contento; accorsero gli uomini, che lo seguivano,
i Locresi, subito la gioia entrò nel cuore di tutti;
portarono le vacche alle navi, al pascolo.
[…]
Prima della gara di corsa si era disputata una gara di discorsi e canti; anche tra i duri Achei dei tempi più remoti, come quelli narrati in questi episodi, tali capacità erano tenute in gran conto, forse più di quelle di carattere atletico nelle quali si eccelleva soprattutto con la forza fisica. Seguono poi in ordine giochi di lotta, pugilato, tiro con l'arco, lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, pancrazio, corsa dei carri, corsa dei cavalli.
L'inganno del cavallo di legno (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)
[…]
......................... Lui solo con
saggezza ne escogitò uno,
il figlio di Laerte, e queste parole
pronunciò in risposta:
« Mio caro, entrambi onoriamo massimamente
gli dèi del cielo.
Se davvero è destino per gli Achei abili
in guerra
Prendere con un inganno la città di
Priamo,
noi, i migliori uomini per tendere l’insidia,
fabbricando un cavallo
senza esitazione vi saliremo. Di nascosto
salpino gli altri uomini
per Tenedo con le navi, brucino tutte le
tende,
ché i Troiani, scorgendo ciò dalla rocca,
nella oiana si riversino senza paura.
Allora un uomo solo,
coraggioso, che nessuno dei Troiani sappia
riconoscere,
con animo furente rimanga fuori dal
cavallo.
Interrogato risponderà di fuggire dalla
furia cieca degli Achei,
bramosi di immolarlo pur di ottenere un
felice ritorno,
e di essersi perciò nascosto sotto quel
cavallo ben fatto,
per Pallade adirata, sempre in difesa dei
troiani dalle lunghe picche.
Tali cose a quanti lo interroghino
racconti per lungo tempo
finchè siano convinti – e sono davvero
diffidenti! –
a condurre il supplice in città senz’esitazione
ulteriore.
Così poi il segnale per la dolorosa
battaglia ci dia:
agli uni mostrando una fiaccola ardente,
gli altri invece incitando a venir fuori
dal grande cavallo
proprio quando i figli troiani riposino
senza pensieri».
Questo brano è particolarmente indicativo per l’immagine che
possiamo formarci del personaggio di Ulisse. Nell’Iliade è presentato come un
grande eroe, un valoroso guerriero ma anche un dispensatore di consigli e
ambasciatore capace di grande mediazione. Tutto bene. Ma quando l’immaginario
collettivo pensa a Ulisse che tipo di personaggio evoca? Tutto ciò che ho
appena detto, ma, soprattutto, si pensa a un eroe dalla mente fredda e acuta, un
calcolatore, un uomo capace di escogitare inganni. L’Ulisse che s’immagina è
quello che esce dalle vicende dell’Odissea ma non quello incontrato fin ora.
Finalmente, dopo tante vicende narrate, emerge Ulisse come
viene sempre e più frequentemente descritto: uomo di rara intelligenza e
astuzia, ingannatore nato. L’idea del cavallo di legno è sua e quello che gli
Achei e lo stesso Achille non avevano potuto ottenere con la forza cioè la
caduta e conseguente distruzione di Troia è ottenuta con un sistema
ingannatore. Le capacità intellettive prevalgono su quelle guerriere.
Laocoonte (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)
Laocoonte (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)
A questo punto non è possibile
trascurare brani riguardanti due personaggi che per un verso o l'altro sono
molto famosi. Il primo è Laocoonte celebre per il gruppo scultoreo che lo
raffigura con i figli sotto l'attacco dei serpenti marini inviati da Atena. La
statua, ritrovata nel 500 sul colle Oppio nelle vicinanze della Domus Aurea,
impressionò e influenzò i grandi artisti di quel tempo, tra cui Michelangelo,
per la bellezza, plasticità e dinamicità che riesce ad esprimere.
L'altro personaggio è una famosa
donna troiana figlia di Priamo e profetessa, Cassandra. Essa è passata alla
storia e nell'immaginario collettivo come una persona portatrice solo di
sventure. Ma dipende forse da lei se avvisa sulle possibili disgrazie derivanti
da scelte sconsiderate? In questo caso Cassandra sconsiglia i Troiani
dall'introdurre il cavallo in città e inascoltata si dispera.
Ma Laocoonte ancora insisteva
incitando i compagni
A distruggere il cavallo con fuoco
impetuoso ma quelli
Non gli davano ascolto. Degli
immortali temevano il biasimo.
Allora un altro male più orrendo la
dea magnanima Atena
Per gli infelici figli di Laocoonte
meditò.
[…]
Risvegliata la violenza dei
serpenti, li spinse
A Troia; quelli messi subito in
movimento dalla dea,
tutta l’isola scossero; rimbombò il
mare
al loro passaggio e si alzarono le
onde. Si muovevano
terribilmente vibrando la lingua;
tremarono le creature del mare.
[…]
Non si muoveva, isolato, il solo
Laocoonte insieme con i figli: lo
legò infatti la terribile Chera e
La dea. I figli che avevano paura
della morte,
entrambi, con orribili fauci
catturarono
mentre al padre loro allungavano le
mani – ma di proteggerli
non fu in grado; i Troiani,
vedendoli di lontano,
piangevano toccati nel profondo.
[…]
………………………………………La madre
Molto gemendo, si doleva sulla tomba
vuota
Paventando altro evento più grave:
piangeva la sventura
per la sconsideratezza del marito e
temeva l’ira dei Beati.
Come quando intorno al nido deserto
si lamenta
Con profondi gemiti, nella valle
fitta di selva, l’usignolo
I cui figli appena nati, prima
ancora di cantare soavemente,
sono stati uccisi dalle fauci di uno
spaventoso serpente,
e dolore prova la madre che
infinitamente soffre
guardando il nido privo dei numerosi
pigolii,
così lei si addolorava tristemente
per la morte dei figli,
gemendo sulla tomba vuota; e ancora
un’altra
sofferenza assai amara provava per
il marito ormai cieco.
Quella dunque gli amati figli e il
marito piangeva,
loro morti e lui privato della luce.
[…]
Presagi funesti in città. Cassandra. (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)
[…]
………….. Si manifestarono infiniti
Prodigi che indicavano lutto per i
Dardanidi e per la città.
Tuttavia il terribile timore non prese
il cuore dei Troiani
Che pur vedevano per la città tutti
questi funesti prodigi:
Le Chere infatti sconvolsero le
menti di tutti cosicché, dopo il pasto,
affrontassero la morte, fatti a
pezzi dagli Argivi.
Ma la sola che un saggio pensiero
teneva saldo nel cuore
Era Cassandra, il cui parlare non è
mai vano,
ma quanto di vero dice è recepito,
per un destino,
come fosse sempre falso, affinché
dolori ne abbiano i Troiani.
[…]
Così agitata dal sentimento, profetico cuore
nel petto,
era fuggita dalla reggia; le chiome
sparse
sulle spalle d’argento, arrivando
fino alla schiena;
i due occhi luccicavano
incredibilmente; il suo collo,
quale fuscello ai venti senza pausa
si dibatteva in ogni direzione.
E la nobile fanciulla grandemente
gridava e diceva:
« Infelici, ora siamo arrivati nella tenebra! Infatti intorno a noi
Piena di fuoco è la città e di
sangue e di rovine
Funeste; dovunque lacrimosi prodigi
Gli immortali manifestano e noi
siamo nel pieno del baratro.
Sventurati, non comprendete il fato crudele ma tutti insieme
Gioite stoltamente: questo una
grande rovina cela!
Ma a me non dareste ascolto neppure
se parlassi per molto
A causa delle Erinni, con noi
adirate per il matrimonio atroce
Di Elena, e le amare Chere
volteggiano
dovunque nella città. Ad un triste
banchetto
prendete l’ultimo cibo misto a
lordura di sangue,
avviati già sulla stessa strada
degli spettri!».
[…]
Gli Argivi dall’interno gioivano sentendo
Il vociare di quelli che per Ilio banchettavano e non si davano cura
Di Cassandra (provavano stupore per lei poiché aveva scrutato
Esattamente, conoscendola, l’intenzione e l’aspirazione degli Achei).
Quella allora si precipitò via come, verso i monti, una pantera adirata
Che dai recinti cani disgraziati e pastori
Avevano scacciato con violenza ma che, per l’indole selvaggia,
poi indietreggia, voltandosi spesso afflitta nel cuore.
Così lei dal grande cavallo si allontanò, pur tormentata
Per l’uccisione dei Troiani. La grande rovina incombeva.
Neottolemo
uccide Priamo. (Libro XIII, trad. Antonino Nastasi)
[…]
Quello rivestito del valore di suo padre
Bramoso faceva a pezzi quanti incontrava. Lì anche nello
stesso
Re dei nemici s'imbattè, meditando sciagure,
Presso l'altare di Zeus Erceo. Egli come vide il figlio di
Achille
Riconobbe subito chi era e non fuggì, perché il suo
Perciò gli parlò desiderando morire:
«O possente figlio di Achille forte n battaglia,
Ammazza senza avere pietà me disgraziato. Io infatti,
Patiti tali e tanti grandi mali, non desidero guardare
La luce del sole che tutto vede, ma in qualche modo oramai
Morire insieme ai miei figli e dimenticarmi dell'afflizione
E del fragore della guerra terribile. Quanto meglio
Se tuo padre mi avesse ucciso prima che vedessi bruciare
Ilio, quando portavo il riscatto per il cadavere
Di Ettore, che proprio tuo padre uccise. Ma forse
Questo le Chere decisero. Tu però della nostra morte
Sazia il potente brando, affinché mi dimentichi delle mie
pene.»
A lui che parlò così rispose il potente figlio di Achille:
« O vecchio, tu veramente esorti chi è bramoso e furente;
Non ti lascerò tra i vivi, perché sei un nemico,
E null'altro è agli uomini più caro della propria vita».
Avendo così parlato tagliò la testa del vecchio canuto
Facilmente come uno che falcia una spiga
Da un riarso campo di grano nella stagione della torrida
estate.
[…]
Così lo prese il destino di morte e si dimenticò delle sue
molte disgrazie.
Morte di Astianatte (Libro XIII, trad. Antonino Nastasi)
[…]
In seguito i Danai dai veloci cavalli gettarono Astianatte
Da un'alta torre, gli tolsero la vita
Strappandolo mentre era tra le braccia della madre
Per odio verso Ettore, poiché davvero a loro sventura aveva
causato
Mentre era vivo; perciò odiarono anche la sua discendenza,
E suo figlio gettarono dall'alta cinta muraria,
Un infante!, lui che non conosceva ancora il combattimento e
la guerra.
Come una vitella sui monti i lupi desiderosi di cibo
Con crudeltà gettano in un precipizio echeggiante
Staccandola dalle mammelle della madre piene di latte,
Quella allora corre gemendo per la prole di qua e di là
Molto lamentandosi, mentre alle sue spalle un'altra
disgrazia
La raggiunge, perché dei leoni afferrano anch'essa,
Così incessantemente afflitta per suo figlio
La trascinano i nemici insieme ad altre prigioniere,
Lei figlia di Eezione eccellente mentre geme terribilmente.
Come abbiamo
letto, Cassandra inascoltata e certa della rovina che incombe sulla città è
disperata. Le sue disgrazie, però, non sono finite. Durante il saccheggio si
rifugia nel tempio di Atena ma qui viene stuprata da Aiace d'Oileo. Trascinata via dall'altare, si aggrappa alla
statua della dea, che Aiace, miscredente e spregiatore degli dei, fa cadere dal
piedistallo. A causa del suo comportamento il ritorno a casa dei vari principi
achei sarà pieno di pericoli e molti neanche ritorneranno. Ma ciò lo sapremo
con maggiore precisione leggendo l'Odissea.
Tra i grandi
eroi troiani l'unico che si salverà è il valoroso Enea: egli, infatti, è
destinato dal fato a giungere sulle rive del Tevere per dare inizio alla
nascita di Roma.
L'ultimo
brano tratto dalle Posthomeriche che voglio riportare è relativo all'incendio e
alla rovina della gloriosa Troia. Sono parole suggestive con immagini forti che
lasciano un ricordo indelebile nella memoria.
L'ultima
notte di Troia. (Libro XIII, trad. Antonino Nastasi)
[…]
Ovunque da
una parte dall'altra sono distrutte le
case
Dall'alto;
arida cenere al fumo era mischiata;
Davvero ne
nasceva un tremendo fragore; tremavano sotto le strade.
Bruciava la
casa di Enea, bruciavano tutte
Le case di
Antimaco; immensamente ardeva la rocca
Intorno
all'amabile Pergamo, sia presso al santuario di Apollo
E al sacro
tempio della Tritonide, sia presso l'altare
Dell'Erceo;
sono completamente incendiati i talami amabili
Dei figli di
Priamo: l'intera città in cenere è ridotta.
I Troiani
alcuni dai figli degli Argivi sono uccisi,
Altri dal
funesto fuoco e dalle loro case,
Dove per
essi un crudele destino e la tomba vi è in sorte;
Altri invece
con le spade la propria gola trafissero
Avendo visto
il fuoco insieme ai nemici davanti alle porte;
Altri ancora
avendo ucciso insieme ai figli le mogli
Caddero
avendo compiuto per necessità l'indomito gesto.
[…]
Addosso a un
altro che fugge via dalla dimora la trave centrale
Incendiata
cadde, gli arrecava completa rovina.
Molte donne
invece verso una triste fuga
Precipitatesi
si ricordarono dei propri figli
Che avevano
lasciato nei letti sotto le case: subito tornando sui loro passi
Insieme ai
figli perirono nel crollo dall'alto delle case.
Inoltre i cavalli e i cani per la città erano in preda al terrore
Fuggendo la terribile violenza del fuoco; in giro con le zampe
Calpestavano gli uccisi; ai vivi invece arrecando danno
Sempre andavano a sbattere. Intanto la città risuonava di un boato:
Qualcuno, giovane, lanciandosi attraverso le fiamme
Gridava; altri dentro uccise l'implacabile Fato.
Le vie della funesta rovina portavano chi per una strada, chi per un'altra.
Una fiamma s'alzò fino al cielo, si diffuse un bagliore
Immenso: lo scorgevano intorno le genti dei paesi vicini
fino alle cime elevate sopra i monti Idei
E a Samotracia e al Tenedo cinta dall'acqua.
[…]
La postohmerica ancora ci descrive altre immagini della distruzione di Troia e nell'ultimo libro si racconta dei riti di ringraziamento agli dei, dell'apparizione in sogno al figlio di Achille che lo esorta ad un comportamento ad un comportamento sempre etico in duello. Ed ancora ci vengono anticipate le sventure reclamate da Atena verso il suo divino genitore per punire i greci per l'affronto subito dalla sua statua. Tutto questo è molto interessante e sotto molti aspetti poco noto per cui il consiglio che mi sento di dare ai miei due lettori è di leggere questo poema perché è bello e troppo trascurato.
Dovrei continuare a scrivere del seguito dell'Iliade e dell'epica: è tanto che non torno sull'argomento. Troppo occupato per avere il tempo di scrivere le mie considerazioni. Oggi, però, pur non tornando sull'argomento principale, ho deciso di fare la prova di postare (così si dice) un commento per vedere come si fa. Questo per poter dare un consiglio su come fare ai miei due follower. Bene, presto continuerò il discorso intrapreso ma intanto che cosa ho letto nel frattempo?. Se ricordo bene l'ultimo appunto era sul libro della Munro per me piuttosto deludente. Forse i racconti non sono adatti a me. Infatti, dopo quelli, ho intrapreso la lettura di due volumi che definire mattoni per la loro mole è poco. Il primo, "La giostra del piacere" di Schmitt Eric-Emmanuel è stato una vera sorpresa: un libro ironico, veloce, mai prolisso, interessante che scava nella profondità dell'animo umano e soprattutto nel campo della sessualità, ma lo fa con leggerezza e senza cadere mai nel volgare. Un libro che mi sento di consigliare vivamente. Il secondo è un vero mattone: la mole e il numero di pagine aveva scoraggiato persino me che pure amo convivere a lungo con le mie storie. Da tempo l'osservavo in libreria e ne ero attratto ma il prezzo e ciò che leggevo nel risvolto di copertina in qualche modo mi suggeriva di rimandarne l'acquisto. Ma poi, anche a causa di recensioni di lettori entusiasti, ho deciso che era arrivato il momento di "Shantaram" di Roberts Gregory David. Sono rimasto molto deluso o forse mi aspettavo un discorso di tipo diverso sull'India dove il romanzo è ambientato. Dicono che sia un'autobiografia ma a me è sembrato tutto estremamente esagerato e quasi impossibile che sia realmente potuto accadere. Veramente non avevo alcuna intenzione di venire a conoscenza delle nefandezze della mafia indiana, delle brutture e delle violenze nelle sue carceri e della filosofia bonaria che l'io narrante dispiega in quasi tutte le sue pagine. Qualche interesse si palesa quando vengono descritti i quartieri di baracche, gli slum, dove vive il popolino sempre afflitto da fame, malattie e difficoltà di ogni genere ma mai domo e sempre sorridente. Un libro estremo sotto tutti gli aspetti ma soprattutto esagerato. Malgrado le ottime recensioni che ho potuto leggere ovunque non mi sento di consigliarlo: per me è stato una grande delusione.
RispondiEliminaInserisco da solo un commento per vedere come funziona. Nel pulsante sottostante scelgo account google se ne posseggo uno oppure scelgo altro sistema. Infine premo il pulsante pubblica. Facile, no?
RispondiEliminapeccato non si legga più a scuola per intero!
RispondiEliminasi sente e come l'assenza di questo insostituibile strumento di formazione!
RispondiEliminalaura baldazzi email:lababbion@gmail.com
Ahh!!! E' questo? Avrei voluto il sequel; questi personaggi sono eterni, sempre attuali nei seentimenti e nelle reazioni. Come sono umani anche se in essi c'è sangue degli Dei.
RispondiEliminaMagistrale filosofia dei Greci. Nessun'altra religio non è più stata all'altezza.
GGVVNN