Il seguito dell'Iliade

ARES
Come ho detto nella prefazione, la mia intenzione è di tornare a leggere i poemi studiati a scuola, allora non abbastanza apprezzati e naturalmente, come può vedere chi mi segue in queste quattro chiacchiere, è quello che ho fatto. Il caso, però, ha voluto che proprio in quei giorni, leggendo un articolo di giornale, mi sono imbattuto in una recensione su un poema secondario e poco noto che è "Posthomerica" di Quinto di Smirne. In questo poema si narrano le vicende, conosciute ma mai lette nella loro completezza, della guerra di Troia dalla morte di Ettore, dove s'interrompe l'Iliade, fino alla distruzione della città con lo stratagemma del cavallo di legno. Ho subito acquistato il libro, un po’ caro per la verità, e di certo non me ne sono pentito. Esso è strutturato molto bene con testo greco a fronte ma soprattutto con tantissime note esplicative realizzate con molta cura e tutte molto interessanti, contenendo esse riferimenti ai miti greci e al poema omerico.
Ho già accennato alla storia narrata, sicuramente molto interessante per chi come me ha amato l’Iliade, e completa ciò che manca nei poemi omerici. L’Odissea aggiunge notizie sui fatti accaduti a Troia, ma non li presenta in modo completo o con ricchezza di particolari. A questa lacuna provvede il seguito dell’Iliade che narra con dovizia di sfumature come si arriva alla distruzione della città e alla morte di tanti altri eroi.
Il giudizio che posso dare è sicuramente positivo: il poema si legge con piacere e interesse con episodi molto belli. Lo stile che l’autore prende a modello è certamente quello omerico e anche in questo caso si ha l’intreccio di azioni tra uomini e Dei. Naturalmente non è Omero ma non si capisce quali siano stati i motivi di tanta dimenticanza per cui penso che indubbiamente andrebbe recuperato e portato all’attenzione dei giovani.


Il poema inizia proprio da dove finisce l'Iliade: sono state fatte tutte le incombenze funebri per onorare Ettore e i troiani sono addolorati per la sua morte e preoccupati per il destino della città dopo la scomparsa del loro più grande guerriero.
Leggiamo quindi l’inizio nella traduzione di Nicoletta Canzio così come è riportato nel “Il seguito dell’Iliade” edito da Bompiani nella collana Il pensiero occidentale.

Dopo che Ettore simile a un dio fu abbattuto dal Pelide,
e la pira l’ebbe consunto e la terra ne racchiuse le ossa,
i Troiani pur resistevano in su la rocca di Priamo
temendo in cuor loro l’impeto dell’Eacide animo coraggioso;
come quando nei boschi i buoi di un fiero leone
temono l’incontro, e fuggono in preda al terrore
rintanandosi a torme nel cuore della selva,
così essi nella rocca si ritrassero atterriti dall’eroe possente
rammentando di quanti in precedenza avesse reciso il capo,
infuriando lungo le rive dell’Ideo Scamandro;
e quanti in fuga avesse trafitto sotto il grande muro;
e come avesse abbattuto Ettore e intorno alla città lo avesse trascinato;
e come avesse dilaniato altri ancora nella distesa del mare mai quieto,
quando per la prima volta seminò la morte tra i Troiani.
Così, ricordando quei lutti, resistevano in su la rocca;
e intorno a loro aleggiava l’affanno penoso
come se già Troia ardesse avvolta nel fuoco funesto.

continua...



Dopo tanto tempo che non lo faccio, è proprio ora di tornare a scrivere le mie note di epica. Stavo discutendo del “Seguito dell’Iliade”. Come si vede fin dai primi versi Quintus Smyrnaeus non cela quale sia il suo intendimento nello scrivere il poema e non solo riprende il racconto nel punto esatto in cui terminava l’Iliade, facendoci così intendere che ci condurrà con la sua storia fino alla fine della guerra e alla distruzione di Troia, ma cerca immediatamente di immedesimarsi nello stile Omerico in modo da creare un vero e proprio raccordo tra Iliade e Odissea.
Omero, nei suoi poemi, fa largo uso di similitudini per far sì che gli eventi raccontati possano essere immaginati visivamente con maggiore chiarezza ed ecco che anche lo Smirneus ci presenta i troiani che fuggono impauriti nella cinta delle mura della città così come i buoi fuggono nella selva di fronte ad un feroce leone. Di simili esempi ne potremo trovare, leggendo il poema, un gran numero, forse anche esagerato. Spesso le immagini presentate sono molto belle e non ci fanno rimpiangere quelle omeriche ma ciò non accade sempre. Forse il loro uso un po’ smodato fa sì che non sempre siano calzanti e soprattutto diventano ripetitive.
Ma nel nostro caso chi è il leone? Naturalmente è Achille: ormai dopo aver ricominciato a combattere è divenuto incontenibile e infuria sotto le mura di Troia facendo strage dei più valenti eroi rimasti dopo la morte di Ettore. Achille non è sazio di sangue, non gli è bastato vendicare il suo caro amico Patroclo e sapendo che la sua vita si appresta alla fine combatte con tutte le sue forze per ottenere onori e la fama di migliore tra i combattenti Achei. A tal proposito tutti i primi libri della “Posthomerica”, per essere precisi i primi tre, vertono sulle imprese dell’Eacide che riesce a sconfiggere uno dopo l’altro i grandi eroi giunti in soccorso dei troiani sotto assedio e prossimi alla sconfitta definitiva. Nel primo libro è descritto l’arrivo della coraggiosa e bellissima nonché abilissima guerriera regina delle  amazzoni Pentesilea. Ella è figlia di Ares e pertanto ama combattere e in effetti sembra risollevare le sorti dei troiani fino all’intervento di Achille che naturalmente la sconfigge dopo dura battaglia.
Achille uccide Pentesilea


Prima dimostra scherno per una combattente donna ma poi, dopo averla battuta, considera la sua grande capacità di lottare e rimane turbato e sconvolto dalla bellezza della giovane. In questa occasione Achille dimostra amore ed umanità contrariamente a quello che appare negli altri episodi che lo hanno come protagonista. Un altro grande eroe è destinato a soccombere sotto i colpi di Achille, malgrado la sua formidabile valentia. 
Memnone. B. Picart (1673-1733) 
Nel secondo libro è Memnone signore degli Etiopi che giunge in soccorso di Troia ma anche lui, dopo atti eroici, viene sconfitto dal prode Pelide. Ma gli Dei, In Quintus, non partecipano? Assolutamente sì. Fedele al modello omerico lo smirneo per la morte di Achille fa intervenire Apollo.  Secondo il mio modo di vedere questo è un passo molto bello che riporto nella bella traduzione di Cristiana Bernaschi, tratta sempre dal testo di Bompiani (Libro III).





  
[…]
“Ai Danai avrebbe aperto  (Achille)
Apollo Belvedere
un varco per la città di Priamo e avrebbe espugnato la ricca città,
se con lui Febo non si fosse adirato nel cuore implacabile
nel vedere innumerevoli stirpi di eroi uccisi in battaglia.
E subito simile a una fiera, scese giù dall’Olimpo
armato di faretra e di frecce fatali.
Si fermò dinanzi all’Eacide. Intorno a lui
molto risuonavano la faretra e l’arco; e dagli occhi
un fuoco incessabile brillava e tremava sotto i piedi la terra.
Terribilmente il possente dio gridò per allontanare Achille
dalla battaglia - temendo l'eroe la voce prodigiosa del dio -,
e salvare dalla morte I Troiani.
«Arretra, o Pelide, lungi dai Troiani, non ti conviene,
non più, scagliare le funeste Chere contro i nemici,
che qualche dio dall'Olimpo non venga ad abbatterti.»
Così disse, ma quello non trepidò dinanzi all’immortale voce del dio.
Di già le terribili Chere si aggiravano volando intorno a lui.”
[…]
Ma Febo sdegnato nell'animo,
pronunciò siffatte parole tra sé e sé.
«Ahimé, quanto infuria costui nel cuore, ma né,
lo stesso Cronide né nessun altro sopporterà
costui che tanto infuria e desidera affrontare gli dei.»
Così disse e scomparve tra le nubi.
Poi, avvolto nella nebbia, scagliò un dardo
E lo colpì al tallone. Subito l’angoscia penetrò nel suo cuore
Ed egli cadde come la torre
che la forza sotteranea di Tifone col suo vortice abbatte al suolo
quando profondamente la terra trema.
Così cadde a terra il corpo dell'Eacide.
[…]

Apollo scaglia il dardo

Come si vede lo Smirneo, contrariamente ad altre versioni, propende per l’ipotesi che solo un dio poteva scagliare il dardo per l’uccisione di Achille. Paride ha solo una piccola parte nell’uccisione ma si gloria di essere stato lui. Achille, però, prima di morire riesce ancora a uccidere alcuni guerrieri troiani e anche ormai nella polvere senza vita incute ancora terrore.
Aiace porta il cadavere di Achille
Sarà Aiace che provvederà a portarne il cadavere fuori della mischia fino all’accampamento acheo.
Nell’Olimpo gli Dei a convegno si dividono come loro solito: chi ne gioisce e chi si rammarica, le dispute sono all’ordine del giorno. La divina madre, Teti, si dispera anche sapendo che questa sarebbe stata la sorte del figlio.
Vengono organizzati dei giochi per il possesso delle armi appartenute ad Achille. Questa parte è particolarmente significativa: viene descritta con minuzia di particolari quali fossero e in cosa consistessero le gare organizzate in onore dell’eroe defunto, che poi ricordano con precisione i giochi olimpici com’erano organizzati nell’antichità.
A fine gara, vista la parità ottenuta tra Aiace e Odisseo, si lascia che siano dei prigionieri troiani a decidere chi dei due dovesse avere in premio le armi. Per scopi piuttosto personali da parte dei giudici, il vincitore sarà Odisseo e ciò causerà la morte di Aiace. Questi, infatti, addolorato e deluso si ucciderà trafiggendosi con la propria lancia.
Il suicidio di Aiace

Neottolemo. Loggia dei Lanzi. Firenze
Gli Achei rimangono così senza grandi combattenti e per ovviare a ciò viene chiamato Neottolemo, figlio di Achille. Questo disperato e furioso per la morte del padre non ascolta i gemiti della genitrice e si precipita anche lui in questa guerra senz[…]a fine. Sotto le mura di Troia, novello Achille, Neottolemo fa strage di troiani ed ha i suoi momenti di gloria.
Tutti questi episodi, proprio come in Omero, occupano la parte centrale del poema, ma poi le cose precipitano: l’inganno del cavallo, l’ingresso degli achei nella città, l’uccisione di Paride, di Priamo e finanche di Astianatte, che viene gettato da una torre, portano rapidamente alla devastazione e all’incendio di Troia.
Leggiamo ora in successione brani estrapolati dai libri in cui sono narrati gli episodi citati.


Morte di Achille  (libro III, trad. Cristiana Bernaschi)
[…]

“So che nessuno degli eroi mortali, venendomi innanzi,
potrà superarmi con la lancia,
seppure abbia in petto un cuore intrepido,
o abbia il cuore assai forte o sia fatto di bronzo.
Sempre di nascosto i vili tendono insidie ai più gloriosi.
Dunque venga innanzi, ancorchè si glori di essere un dio
Adirato con i Danai, giacché il cuore mi dice
che è Apollo costui dalla funesta oscurità avvolto.
Così infatti mia madre un tempo predisse:
che perito sarei sotto i suoi dardi
dinanzi alle porte Scee. Il suo parlare non fu vano”.
Così parlò e con le implacabili mani il funesto dardo
Estrasse dall’incurabile ferita donde il sangue
Stillò, mentre quello era sfinito e il fato ne domava l’animo.
Con ira gettò il dardo che, prontamente giungendo,
le Aure portarono via nell’aere e lo diedero ad Apollo,
allorché tornava nella divina piana di Zeus. Non era lecito
che un dardo immortale scagliato da un dio venisse perduto.
Dopo averlo ripreso, il dio tornò nel vasto Olimpo,
al concilio degli altri dei immortali, dove
insieme si adunavano intenti a rimirare la battaglia dei mortali.”



[…]

Continuando a leggere questo episodio potremmo assistere a una ramanzina veemente della terribile Giunone nei confronti di Apollo per il misfatto compiuto; questi, ben conoscendo le ire della nobile moglie del capo supremo degli dei, suo padre, ne ha sacro timore e non osa rispondere e rimane in silenzio con lo sguardo basso di fronte al concilio di tutti gli dei a subire, vergognoso come uno scolaretto, i rimbrotti della grande dea. Una scena questa molto bella e molto umana.
Il Pelìde è ormai ferito in modo incurabile ma non è ancora morto: con le poche forze che gli rimangono riesce ancora a uccidere un certo numero di nemici ma poi anche lui, il più grande degli eroi achei, deve piegarsi al fato.

[…]

“Ma quando si freddarono le sue membra e se ne andò il soffio vitale,
si fermò e si appoggiò alla frassinea lancia e i nemici fuggivano via,
tutti in massa, poiché lo temevano”

[…]

………………………....... Ma egli, per volere del fato,
gravato nell’animo coraggioso e nelle possenti membra,
cadde a terra tra i cadaveri simile ad un alto monte.
La terra risuonò e fortemente risuonarono le armi,
dopo che il Pelide era caduto a terra. Ma ancora i Troiani nell’animo
provavano immenso timore, volgendo lo sguardo al nemico,
come quando la fulva fiera dai giovani abbattuta
le greggi temono scorgendola presso l’ovile,
benché colpita, né osano andargli accanto,
ma, come se fosse viva, ne paventano il cadavere.
In tal guisa i Troiani temevano Achille benché fosse morto.”

[…]

La gara di corsa (Libro IV, trad. di Enrico Cerroni)

[…]

................... Teti poi nel mezzo dell'arena
pose come premio della corsa dieci vacche, che tutte
avevano bei vitellini che ne cercavano le mammelle,
queste una volta la forza dell'invincibile Achille
aveva portato dall'Ida, confidando nella sua grande asta.
Per esse si alzarano in due, molto bramosi di vittoria;
Teucro Telamonio per primo e Aiace,
Aiace che brillava tra i Locresi lanciatori di dardi.
Attorno alle pudenda legaron subito con le mani
i mantelli, tutto di sotto, come è giusto, coprirono
vergognandosi di fronte alla sposa del valoroso Pelide
e alle altre marine Nereidi, quante con lei
erano giunte a guardare le forti gare degli Argivi.
Per essi indicava il termine della corsa velocissima
l'Atride che tra tutti gli Argivi regnava.
Li spronava Eris incontaminata; essi dal punto d'avvio
subito scattarono, simili a falchi;
di loro incerta era la corsa; da ciascun lato
gli Argivi guardando gridavano per l'uno o per l'altro.
Ma allor quando stavano per arrivare bramosi al traguardo,
allora a Teucro la forza e le membra bloccarono
gli immortali; un dio o il fato lo gettarono
su un ramo contrario di mirice ben radicato.
Lì impigliato a terra cadde, dolorosamente
la punta si contorse del piede sinistro, si alzarono
gonfie da ogni lato le vene. Levarono grida
gli Argivi presenti alla gara. Piombò in avanti Aiace
contento; accorsero gli uomini, che lo seguivano,
i Locresi, subito la gioia entrò nel cuore di tutti;
portarono le vacche alle navi, al pascolo.
[…]

Prima della gara di corsa si era disputata una gara di discorsi e canti; anche tra i duri Achei dei tempi più remoti, come quelli narrati in questi episodi, tali capacità erano tenute in gran conto, forse più di quelle di carattere atletico nelle quali si eccelleva soprattutto con la forza fisica. Seguono poi in ordine giochi di lotta, pugilato, tiro con l'arco, lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, pancrazio, corsa dei carri, corsa dei cavalli.


L'inganno del cavallo di legno (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)

[…]
......................... Lui solo con saggezza ne escogitò uno,
il figlio di Laerte, e queste parole pronunciò in risposta:
« Mio caro, entrambi onoriamo massimamente gli dèi del cielo.
Se davvero è destino per gli Achei abili in guerra
Prendere con un inganno la città di Priamo,
noi, i migliori uomini per tendere l’insidia, fabbricando un cavallo
senza esitazione vi saliremo. Di nascosto salpino gli altri uomini
per Tenedo con le navi, brucino tutte le tende,
ché i Troiani, scorgendo ciò dalla rocca,
nella oiana si riversino senza paura. Allora un uomo solo,
coraggioso, che nessuno dei Troiani sappia riconoscere,
con animo furente rimanga fuori dal cavallo.
Interrogato risponderà di fuggire dalla furia cieca degli Achei,
bramosi di immolarlo pur di ottenere un felice ritorno,
e di essersi perciò nascosto sotto quel cavallo ben fatto,
per Pallade adirata, sempre in difesa dei troiani dalle lunghe picche.
Tali cose a quanti lo interroghino racconti per lungo tempo
finchè siano convinti – e sono davvero diffidenti! –
a condurre il supplice in città senz’esitazione ulteriore.
Così poi il segnale per la dolorosa battaglia ci dia:
agli uni mostrando una fiaccola ardente,
gli altri invece incitando a venir fuori dal grande cavallo
proprio quando i figli troiani riposino senza pensieri».






Questo brano è particolarmente indicativo per l’immagine che possiamo formarci del personaggio di Ulisse. Nell’Iliade è presentato come un grande eroe, un valoroso guerriero ma anche un dispensatore di consigli e ambasciatore capace di grande mediazione. Tutto bene. Ma quando l’immaginario collettivo pensa a Ulisse che tipo di personaggio evoca? Tutto ciò che ho appena detto, ma, soprattutto, si pensa a un eroe dalla mente fredda e acuta, un calcolatore, un uomo capace di escogitare inganni. L’Ulisse che s’immagina è quello che esce dalle vicende dell’Odissea ma non quello incontrato fin ora.
Finalmente, dopo tante vicende narrate, emerge Ulisse come viene sempre e più frequentemente descritto: uomo di rara intelligenza e astuzia, ingannatore nato. L’idea del cavallo di legno è sua e quello che gli Achei e lo stesso Achille non avevano potuto ottenere con la forza cioè la caduta e conseguente distruzione di Troia è ottenuta con un sistema ingannatore. Le capacità intellettive prevalgono su quelle guerriere.

Laocoonte (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)


A questo punto non è possibile trascurare brani riguardanti due personaggi che per un verso o l'altro sono molto famosi. Il primo è Laocoonte celebre per il gruppo scultoreo che lo raffigura con i figli sotto l'attacco dei serpenti marini inviati da Atena. La statua, ritrovata nel 500 sul colle Oppio nelle vicinanze della Domus Aurea, impressionò e influenzò i grandi artisti di quel tempo, tra cui Michelangelo, per la bellezza, plasticità e dinamicità che riesce ad esprimere.
L'altro personaggio è una famosa donna troiana figlia di Priamo e profetessa, Cassandra. Essa è passata alla storia e nell'immaginario collettivo come una persona portatrice solo di sventure. Ma dipende forse da lei se avvisa sulle possibili disgrazie derivanti da scelte sconsiderate? In questo caso Cassandra sconsiglia i Troiani dall'introdurre il cavallo in città e inascoltata si dispera.

Ma Laocoonte ancora insisteva incitando i compagni
A distruggere il cavallo con fuoco impetuoso ma quelli
Non gli davano ascolto. Degli immortali temevano il biasimo.
Allora un altro male più orrendo la dea magnanima Atena
Per gli infelici figli di Laocoonte meditò.
[…]
Risvegliata la violenza dei serpenti, li spinse
A Troia; quelli messi subito in movimento dalla dea,
tutta l’isola scossero; rimbombò il mare
al loro passaggio e si alzarono le onde. Si muovevano
terribilmente vibrando la lingua; tremarono le creature del mare.
 […]
Non si muoveva, isolato, il solo
Laocoonte insieme con i figli: lo legò infatti la terribile Chera e
La dea. I figli che avevano paura della morte,
entrambi, con orribili fauci catturarono
mentre al padre loro allungavano le mani – ma di proteggerli
non fu in grado; i Troiani, vedendoli di lontano,
piangevano toccati nel profondo.
[…]
………………………………………La madre
Molto gemendo, si doleva sulla tomba vuota
Paventando altro evento più grave: piangeva la sventura
per la sconsideratezza del marito e temeva l’ira dei Beati.
Come quando intorno al nido deserto si lamenta
Con profondi gemiti, nella valle fitta di selva, l’usignolo
I cui figli appena nati, prima ancora di cantare soavemente,
sono stati uccisi dalle fauci di uno spaventoso serpente,
e dolore prova la madre che infinitamente soffre
guardando il nido privo dei numerosi pigolii,
così lei si addolorava tristemente per la morte dei figli,
gemendo sulla tomba vuota; e ancora un’altra
sofferenza assai amara provava per il marito ormai cieco.
Quella dunque gli amati figli e il marito piangeva,
loro morti e lui privato della luce.
[…]



















Presagi funesti in città. Cassandra.  (Libro XII, trad. Lorenzo Ciolfi)

[…]
 ………….. Si manifestarono infiniti
Prodigi che indicavano lutto per i Dardanidi e per la città.
Tuttavia il terribile timore non prese il cuore dei Troiani
Che pur vedevano per la città tutti questi funesti prodigi:
Le Chere infatti sconvolsero le menti di tutti cosicché, dopo il pasto,
affrontassero la morte, fatti a pezzi dagli Argivi.
Ma la sola che un saggio pensiero teneva saldo nel cuore
Era Cassandra, il cui parlare non è mai vano,
ma quanto di vero dice è recepito, per un destino,
come fosse sempre falso, affinché dolori ne abbiano i Troiani.
[…]
 Così agitata dal sentimento, profetico cuore nel petto,
era fuggita dalla reggia; le chiome sparse
sulle spalle d’argento, arrivando fino alla schiena;
i due occhi luccicavano incredibilmente; il suo collo,
quale fuscello ai venti senza pausa si dibatteva in ogni direzione.
E la nobile fanciulla grandemente gridava e diceva:
« Infelici, ora siamo arrivati nella tenebra! Infatti intorno a noi
Piena di fuoco è la città e di sangue e di rovine
Funeste; dovunque lacrimosi prodigi
Gli immortali manifestano e noi siamo nel pieno del baratro.
Sventurati, non comprendete il fato crudele  ma tutti insieme
Gioite stoltamente: questo una grande rovina cela!
Ma a me non dareste ascolto neppure se parlassi per molto
A causa delle Erinni, con noi adirate per il matrimonio atroce
Di Elena, e le amare Chere volteggiano
dovunque nella città. Ad un triste banchetto
prendete l’ultimo cibo misto a lordura di sangue,
avviati già sulla stessa strada degli spettri!».
[…]


Gli Argivi dall’interno gioivano sentendo
Il vociare di quelli che per Ilio banchettavano e non si davano cura
Di Cassandra (provavano stupore per lei poiché aveva scrutato
Esattamente, conoscendola, l’intenzione e l’aspirazione degli Achei).
Quella allora si precipitò via come, verso i monti, una pantera adirata
Che dai recinti cani disgraziati e pastori
Avevano scacciato con violenza ma che, per l’indole selvaggia,
poi indietreggia, voltandosi spesso afflitta nel cuore.
Così lei dal grande cavallo si allontanò, pur tormentata
Per l’uccisione dei Troiani. La grande rovina incombeva.






Neottolemo uccide Priamo.  (Libro XIII, trad. Antonino Nastasi)

 […]
Quello rivestito del valore di suo padre
Bramoso faceva a pezzi quanti incontrava. Lì anche nello stesso
Re dei nemici s'imbattè, meditando sciagure,
Presso l'altare di Zeus Erceo. Egli come vide il figlio di Achille
Riconobbe subito chi era e non fuggì, perché il suo
animo bramava perire sopra i suoi figli.
Perciò gli parlò desiderando morire:
«O possente figlio di Achille forte n battaglia,
Ammazza senza avere pietà me disgraziato. Io infatti,
Patiti tali e tanti grandi mali, non desidero guardare
La luce del sole che tutto vede, ma in qualche modo oramai
Morire insieme ai miei figli e dimenticarmi dell'afflizione
E del fragore della guerra terribile. Quanto meglio
Se tuo padre mi avesse ucciso prima che vedessi bruciare
Ilio, quando portavo il riscatto per il cadavere
Di Ettore, che proprio tuo padre uccise. Ma forse
Questo le Chere decisero. Tu però della nostra morte
Sazia il potente brando, affinché mi dimentichi delle mie pene.»
A lui che parlò così rispose il potente figlio di Achille:
« O vecchio, tu veramente esorti chi è bramoso e furente;
Non ti lascerò tra i vivi, perché sei un nemico,
E null'altro è agli uomini più caro della propria vita».
Avendo così parlato tagliò la testa del vecchio canuto
Facilmente come uno che falcia una spiga
Da un riarso campo di grano nella stagione della torrida estate.
[…]

Così lo prese il destino di morte e si dimenticò delle sue molte disgrazie.

Jules Joseph Lefebvre -La morte di Priamo



 Morte di Astianatte  (Libro XIII, trad. Antonino Nastasi)

[…]

In seguito i Danai dai veloci cavalli gettarono Astianatte
Da un'alta torre, gli tolsero la vita
Strappandolo mentre era tra le braccia della madre
Per odio verso Ettore, poiché davvero a loro sventura aveva causato
Mentre era vivo; perciò odiarono anche la sua discendenza,
E suo figlio gettarono dall'alta cinta muraria,
Un infante!, lui che non conosceva ancora il combattimento e la guerra.
Come una vitella sui monti i lupi desiderosi di cibo
Con crudeltà gettano in un precipizio echeggiante
Staccandola dalle mammelle della madre piene di latte,
Quella allora corre gemendo per la prole di qua e di là
Molto lamentandosi, mentre alle sue spalle un'altra disgrazia
La raggiunge, perché dei leoni afferrano anch'essa,
Così incessantemente afflitta per suo figlio
La trascinano i nemici insieme ad altre prigioniere,
Lei figlia di Eezione eccellente mentre geme terribilmente.




Come abbiamo letto, Cassandra inascoltata e certa della rovina che incombe sulla città è disperata. Le sue disgrazie, però, non sono finite. Durante il saccheggio si rifugia nel tempio di Atena ma qui viene stuprata da Aiace d'Oileo.  Trascinata via dall'altare, si aggrappa alla statua della dea, che Aiace, miscredente e spregiatore degli dei, fa cadere dal piedistallo. A causa del suo comportamento il ritorno a casa dei vari principi achei sarà pieno di pericoli e molti neanche ritorneranno. Ma ciò lo sapremo con maggiore precisione leggendo l'Odissea.
Tra i grandi eroi troiani l'unico che si salverà è il valoroso Enea: egli, infatti, è destinato dal fato a giungere sulle rive del Tevere per dare inizio alla nascita di Roma.
L'ultimo brano tratto dalle Posthomeriche che voglio riportare è relativo all'incendio e alla rovina della gloriosa Troia. Sono parole suggestive con immagini forti che lasciano un ricordo indelebile nella memoria.

L'ultima notte di Troia. (Libro XIII, trad. Antonino Nastasi)

 […]
Ovunque da una parte  dall'altra sono distrutte le case
Dall'alto; arida cenere al fumo era mischiata;
Davvero ne nasceva un tremendo fragore; tremavano sotto le strade.
Bruciava la casa di Enea, bruciavano tutte
Le case di Antimaco; immensamente ardeva la rocca
Intorno all'amabile Pergamo, sia presso al santuario di Apollo
E al sacro tempio della Tritonide, sia presso l'altare
Dell'Erceo; sono completamente incendiati i talami amabili
Dei figli di Priamo: l'intera città in cenere è ridotta.
I Troiani alcuni dai figli degli Argivi sono uccisi,
Altri dal funesto fuoco e dalle loro case,
Dove per essi un crudele destino e la tomba vi è in sorte;
Altri invece con le spade la propria gola trafissero
Avendo visto il fuoco insieme ai nemici davanti alle porte;
Altri ancora avendo ucciso insieme ai figli le mogli
Caddero avendo compiuto per necessità l'indomito gesto.
[…]
Addosso a un altro che fugge via dalla dimora la trave centrale
Incendiata cadde, gli arrecava completa rovina.
Molte donne invece verso una triste fuga
Precipitatesi si ricordarono dei propri figli
Che avevano lasciato nei letti sotto le case: subito tornando sui loro passi

Insieme ai figli perirono nel crollo dall'alto delle case.
Inoltre i cavalli e i cani per la città erano in preda al terrore
Fuggendo la terribile violenza del fuoco; in giro con le zampe
Calpestavano gli uccisi; ai vivi invece arrecando danno
Sempre andavano a sbattere. Intanto la città risuonava di un boato:
Qualcuno, giovane, lanciandosi attraverso le fiamme
Gridava; altri dentro uccise l'implacabile Fato.
Le vie della funesta rovina portavano chi per una strada, chi per un'altra.
Una fiamma s'alzò fino al cielo, si diffuse un bagliore
Immenso: lo scorgevano intorno le genti dei paesi vicini
fino alle cime elevate sopra i monti Idei
E a Samotracia e al Tenedo cinta dall'acqua.

[…]




La postohmerica ancora ci descrive altre immagini della distruzione di Troia e nell'ultimo libro si racconta dei riti di ringraziamento agli dei, dell'apparizione in sogno al figlio di Achille che lo esorta ad un comportamento ad un comportamento sempre etico in duello. Ed ancora ci vengono anticipate le sventure reclamate da Atena verso il suo divino genitore per punire i greci per l'affronto subito dalla sua statua. Tutto questo è molto interessante e sotto molti aspetti poco noto per cui il consiglio che mi sento di dare ai miei due lettori è di leggere questo poema perché è bello e troppo trascurato.


5 commenti:

  1. Dovrei continuare a scrivere del seguito dell'Iliade e dell'epica: è tanto che non torno sull'argomento. Troppo occupato per avere il tempo di scrivere le mie considerazioni. Oggi, però, pur non tornando sull'argomento principale, ho deciso di fare la prova di postare (così si dice) un commento per vedere come si fa. Questo per poter dare un consiglio su come fare ai miei due follower. Bene, presto continuerò il discorso intrapreso ma intanto che cosa ho letto nel frattempo?. Se ricordo bene l'ultimo appunto era sul libro della Munro per me piuttosto deludente. Forse i racconti non sono adatti a me. Infatti, dopo quelli, ho intrapreso la lettura di due volumi che definire mattoni per la loro mole è poco. Il primo, "La giostra del piacere" di Schmitt Eric-Emmanuel è stato una vera sorpresa: un libro ironico, veloce, mai prolisso, interessante che scava nella profondità dell'animo umano e soprattutto nel campo della sessualità, ma lo fa con leggerezza e senza cadere mai nel volgare. Un libro che mi sento di consigliare vivamente. Il secondo è un vero mattone: la mole e il numero di pagine aveva scoraggiato persino me che pure amo convivere a lungo con le mie storie. Da tempo l'osservavo in libreria e ne ero attratto ma il prezzo e ciò che leggevo nel risvolto di copertina in qualche modo mi suggeriva di rimandarne l'acquisto. Ma poi, anche a causa di recensioni di lettori entusiasti, ho deciso che era arrivato il momento di "Shantaram" di Roberts Gregory David. Sono rimasto molto deluso o forse mi aspettavo un discorso di tipo diverso sull'India dove il romanzo è ambientato. Dicono che sia un'autobiografia ma a me è sembrato tutto estremamente esagerato e quasi impossibile che sia realmente potuto accadere. Veramente non avevo alcuna intenzione di venire a conoscenza delle nefandezze della mafia indiana, delle brutture e delle violenze nelle sue carceri e della filosofia bonaria che l'io narrante dispiega in quasi tutte le sue pagine. Qualche interesse si palesa quando vengono descritti i quartieri di baracche, gli slum, dove vive il popolino sempre afflitto da fame, malattie e difficoltà di ogni genere ma mai domo e sempre sorridente. Un libro estremo sotto tutti gli aspetti ma soprattutto esagerato. Malgrado le ottime recensioni che ho potuto leggere ovunque non mi sento di consigliarlo: per me è stato una grande delusione.

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  2. Inserisco da solo un commento per vedere come funziona. Nel pulsante sottostante scelgo account google se ne posseggo uno oppure scelgo altro sistema. Infine premo il pulsante pubblica. Facile, no?

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  3. peccato non si legga più a scuola per intero!

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  4. si sente e come l'assenza di questo insostituibile strumento di formazione!
    laura baldazzi email:lababbion@gmail.com

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  5. Ahh!!! E' questo? Avrei voluto il sequel; questi personaggi sono eterni, sempre attuali nei seentimenti e nelle reazioni. Come sono umani anche se in essi c'è sangue degli Dei.

    Magistrale filosofia dei Greci. Nessun'altra religio non è più stata all'altezza.
    GGVVNN

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